Momijigari, l'autunno giapponese

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    L’autunno è al culmine. Anche in Giappone. A Tokyo l’aria si è fatta più fresca e la stagione è, come da definizione, piuttosto piovosa. Non mancano le occasioni di avvolgersi in una sciarpa di lana, specialmente la sera, quando il sole cala all’orizzonte. Insomma, tutto fa pensare che l’inverno sia più vicino che mai. Tra poco tempo, e forse inaspettatamente, il freddo si farà più intenso, la pioggia diventerà neve e la natura si abbandonerà ad un lungo letargo per poi rifiorire, splendida, con la primavera. E più che mai qui, dove la primavera viene identificata con la fioritura del ciliegio, simbolo nazionale. Il piccolo, roseo fiore di ciliegio ha dato vita all’evento giapponese per eccellenza, il celebre hanami, l’occasione giusta per ritrovarsi, con amici e parenti, sotto ai ciliegi in fiore per mangiare, bere, cantare, o comunque per festeggiare come si vuole la natura che torna a vivere dopo le rigidità dell’inverno.

    Aspettare l’hanami ci rende impazienti, ma siamo ancora a Novembre e il mondo naturale si prepara al suo temporaneo sonno invernale. L’inverno, e l’autunno che l’annuncia, sono tra le stagioni più impopolari. Freddo, pioggia e neve le accompagnano. La luce del sole, invece, non c’è che per poche ore al giorno. Sono poche le occasioni di svago e non resta altro da fare che coprirci bene per evitare raffreddori. Ma il Giappone è ricco di sorprese per il visitatore incauto: i giapponesi hanno conservato nel tempo una passione innata per la contemplazione della natura e le sue manifestazioni spontanee. Celebri poeti hanno decantato le meraviglie del mondo nelle sue molteplici espressioni: dalla delicatezza dei fiori alla freschezza dell’acqua, dalle montagne impervie alle pianure sconfinate. E’ osservando la natura che la vita umana acquista significato: seppur breve, la vita va assaporata con gusto, così come si osserva un bel fiore, anche se il giorno successivo sarà irrimediabilmente appassito.

    Nelle opere d’arte, anche le più antiche, la bellezza si ritrova in tutto ciò che è effimero, e che per questo va vissuto senza esitazione: godere di un attimo, anche fugace, rappresenta l’ideale estetico che ha ispirato, da queste parti, le opere letterarie più belle e più intense. La sensibilità dell’artista stava proprio nel rappresentare, con poche parole se poeta, con abili pennellate se pittore, proprio la necessità di godere di questi brevissimi attimi di felicità. E i risultati sono spesso sorprendenti. Penso, ad esempio, a quei piccoli miracoli chiamati haiku, le poesie in cui in sole 17 sillabe il poeta riesce a evocare il potere di un sentimento attraverso un’immagine pura, senza inutili orpelli. Anche l’autunno, quindi, rientra di diritto in questo ciclo vitale. La natura si prepara a “morire”, ma non per questo non è degna di essere osservata. Senza considerare che, nel buddismo, la morte altro non è che la speranza di una rinascita. Sarà per questo, o forse solo perché anche l’autunno offre piccoli capolavori di bellezza, fatto sta che, così come la primavera ha il suo hanami, l’autunno porta i giapponesi fuori città, nei boschi e sulle montagne, per improvvisare il momijigari.

    Il momijigari celebra il momento migliore per andare a osservare il momiji, il cui nome scientifico è Acer Japonicum. Si tratta di un albero della famiglia degli aceri, più piccolo rispetto all'acero canadese e con foglie più strette ed affusolate. Anche l’acero giapponese, però, come quello canadese, ha conquistato la simpatia della gente grazie alla tinta rosso acceso che le sue foglie assumono in autunno, prima di cadere del tutto. Sia l’hanami che il momijigari hanno origini assai antiche, ma mentre l’hanami sembra essere nato nei campi e nei villaggi rurali come celebrazione della bella stagione e come rito propiziatorio per un buon raccolto, il momijigari pare avere radici addirittura aristocratiche. Si racconta, infatti, che nelle limpide giornate d’autunno di molti secoli fa, i nobili si ritrovassero sotto ai momiji per suonare, cantare o recitare poesie d’amore, cercando ispirazione nella contemplazione delle foglie screziate di rosso. Più tardi, poi, questa usanza si è diffusa anche tra la gente comune, ed è rimasta intatta fino ad oggi.
     
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